Le Dolomiti Friulane, con il Piancavallo, le Valli Pordenonesi, i Magredi sono un territorio unico, d’intatta suggestione, dove saperi e sapori autentici segnano il paesaggio naturale e culturale in ogni sua sfumatura. Dichiarate dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità, si trovano in provincia di Pordenone, nel Friuli Occidentale. Selvagge per natura, con un grado di wilderness (selvatichezza) difficilmente riscontrabile in altre zone dell’arco alpino, hanno paesaggi incontaminati di rara bellezza. Montagna vera, natura intatta, come vere e intatte sono le antiche tradizioni, il senso dell’ospitalità, i cibi rustici e genuini, le austere architetture in pietra con ballatoi in legno che le sue genti hanno preservato con ostinazione e passione.
Una terra facile da raggiungere, con ottimi collegamenti, da assaporare nelle sue mille sfaccettature da parte di chi cerca una ritemprante vacanza dove vivere le proprie passioni lontano dalla folla, dai luoghi battuti dal turismo di massa, dal conformismo.
Dalle vette delle Dolomiti a Piancavallo, dalle Valli solcate dalla scorrere impetuoso di fiumi e torrenti da cui prendono il nome, alle aspre e “magre” terre pianeggianti dei Magredi solcate dal Tagliamento: diverse, e profondamente autentiche, sono le anime di questo mondo unico e intatto, abbracciato dalle Alpi e aperto sul mare Adriatico, ideale per chi ama la natura e la vita attiva, i ritmi lenti del viver bene e il passo spedito dello sport, i piaceri di gusti, gesti e tradizioni che vengono da lontano.
Il Parco Regionale delle Dolomiti Friulane, il più esteso del Friuli-Venezia Giulia, 36.950 ettari di natura intatta e selvaggia, il cui simbolo è la guglia di 300 m. del Campanile di Val Montanaia; Piancavallo, nota e attrezzata località di sport sia invernali che estivi, principale polo sciistico della montagna pordenonese; la Foresta del Cansiglio, la seconda per estensione della penisola, “il bosco della Serenissima” con faggi e conifere fra i più antichi d’Italia; il Parco del Prescudin, oasi naturalistica ricchissima di specie rare di fiori e arbusti, dove si arriva dopo aver risalito la Valcellina, con il suo spettacolare orrido e le pareti di roccia che attirano i climbers di tutto il mondo; Poffabro e Frisanco, con le loro case di pietra “Borghi belli d’Italia”; Erto (paese dello scultore- scrittore Mauro Corona, cantore dei boschi) e Casso, sul tragico sfondo della diga del Vajont , Claut campo base per lunghi trekking e spettacolari arrampicate e, d’inverno, di traversate sci alpinistiche e arrampicate su cascate di ghiaccio; Andreis con il Nordic Life Park da cui prendono il via percorsi anche di più giorni per gli appassionati di nordic walking e il Centro recupero rapaci dove vengono curati (e poi rimessi in libertà) rapaci feriti; Cimolais, sede del Parco Dolomiti Friulane, con il Recinto faunistico di Pianpinedo (35 ettari di montagna, dove vivono in libertà caprioli, cervi, stambecchi) e il Sentiero botanico; la Val Tramontina con boschi fittissimi e alpeggi. E ancora forre e grotte (la più spettacolari sono quelle di Pradis a Clauzetto); laghi incantevoli come quello, azzurrissimo, di Barcis, e torrenti, paradiso del cayoing e del rafting: a dimensione d’uomo, non meccanizzate o violate, le Dolomiti Friulane (le Dolomiti più nascoste, le meno mondane, le più autentiche) sono l’ ideale scenario per una vacanza tutta natura, sport e relax.
Ai loro piedi, l’aspra terra dei Magredi (delicato ecosistema che ha di simile solo la steppa russa), Polcenigo con la sorgente del Gorgazzo dalla acque gelide e cristalline, Caneva (con il sito paleolitico di Palù alle sorgenti del Livenza, tra i più importanti villaggi palafitticoli dell’Italia settentrionale dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità), Maniago (dal Medio Evo capitale italiana delle lame e dei coltelli), Sequals con la casa natale del campione di boxe Primo Carnera, “il Gigante buono”.
A tavola, il nuovo piacere di sapori antichi
Una cucina semplice, contadina ma ricca di fantasia, con contaminazioni provenienti dalla tradizione veneta della Serenissima, o dalle cucine d’Oltralpe.
I prodotti tipici
Prelibati i formaggi (ricotta fresca e affumicata, caciotte, formai dal Cìt, Montasio Dop, Cao ovvero la prima crema di latte appena munto, formaggi in salamoia, caprini) e i salumi (soppressa, pancetta, salame che – quando è fresco- viene anche proposto cotto velocemente all’aceto).
La Pitina è il prodotto più tipico di questa terra. Un insaccato che non è un insaccato, un salume che non è un salume. E’ una sorta di grossa polpetta ottenuta esclusivamente da carne di ungulati, ingentilita da erbe aromatiche, sale, pepe, passata nella farina di mais, affumicata e stagionata. La si gusta cruda, a fette (ma deve avere più di 40 giorni) con polenta o pane casereccio; oppure cotta, con le fette scottate velocemente nel burro, servite su una polentina morbida e cosparse di un po’ di ricotta fusa: molteplici sono comunque le ricette di cui è alla base, proposte nei ristoranti della zona. Può essere prodotta solo in Valcellina, Val Colvera e Val Tramontina ed è Presidio Slow Food.
La Cipolla Rossa di Cavasso Nuovo è un ortaggio la cui coltivazione si perde nella notte dei tempi e fino agli anni ’60 è stata una preziosa risorsa per molte famiglie. Un tempo le donne del paese si tramandavano di madre in figlia le sementi e si occupavano di tutte le fasi della produzione dell’ortaggio, realizzavano le famose trecce (in friulano riesti) e le vendevano in molti paesi del Friuli Venezia Giulia. La Cipolla Rossa di Cavasso Nuovo si caratterizza per le sue qualità organolettiche, la sua consistenza, il suo risaltante sapore dolce e delicato che la rende particolare tra molte varietà esistenti. Quest’ortaggio è quindi un prodotto caratteristico, coltivabile solo su certi terreni e con peculiari condizioni climatiche, che l’ambiente del magnifico territorio pedemontano offre ed è Presidio Slow Food.
Tradizionale è poi il formaggio Asìno, che prende il nome da Vito d’Asio, dove è prodotto da secoli. Il suo particolarissimo sapore, sapido e leggermente piccante, è dovuto alle salamoie – vecchie anche di decenni – in cui é fatto maturare.
Formai dal Cìt tipico della zona di Tramonti di Sopra. Non si hanno precise documentazioni circa l’origine di questo nome per cui si formulano due ipotesi. Una asserisce che con il nome “Cit” era identificata una famiglia, che di generazione in generazione, produceva e commercializzava formaggi. L’altra dice che “Cit”, nella parlata della vallata, significa vaso di pietra. I vasi di pietra erano utilizzati per conservare i cibi delle scorte invernali. Questo tipico formaggio, in origine, era nato per poter mangiare le forme di formaggio non ben riuscite, dal sapore peggiorato e poco gradevole al palato; nell’idioma locale erano chiamate formai di tarisio. La forma di formaggio, anomala, era tagliata a piccoli pezzettini, ricoperta di latte e panna ed erbetìnes, cioè erbe aromatiche del luogo. Il tutto era mescolato molto bene fino a ottenere una crema densa. Questa crema era poi conservata solo nei recipienti di pietra che ogni famiglia possedeva.
Fra agosto e settembre, matura a Caneva il Figo Moro, le cui piante, anche molto vecchie, marchiano un po’ ovunque il territorio. Lo apprezzava fin dai tempi antichi la Serenissima, che lo vendeva fresco al mercato di Rialto e lo imbarcava, secco, sulle navi come alimento altamente nutriente. Oggi una cinquantina di produttori si sono associati in consorzio e hanno iniziato anche a lavorarlo, producendo deliziose confetture, sciroppati, caramellati.
Verso l’autunno, ecco un’altra chicca di questo territorio: i tartufi, per i quali è nota la zona di Meduno.
Compagni ideali dei piatti della cucina locale sono i vini della DOC Grave del Friuli e alcuni rari e prelibati autoctoni, fra cui Ucelùt, Forgjarin, Cividìn, Sciaglìn, Cjanorie, Piculìt Neri e Cordenossa, ritrovati fra i colli di Castelnuovo e Pinzano e riportati a nuova vita.
Artigianato
L’innata abilità artigianale delle genti di questa terra si è espressa nei secoli attraverso la capacità di dare forma al legno, alla pietra, al metallo, alla creta. Sono elementi della difficile vita di ogni giorno, che ha garantito per millenni la sopravvivenza e un certo benessere, e da artigianato si sono tramutati a volte in arte.
Nell’intero arco montano e nelle sue propaggini la pietra consente da tempo immemorabile la costruzione delle abitazioni, delle stalle, dei muri di sostegno alla pendenze franose, delle strade. E poi diventa arte, attraverso le sculture, gli oggetti simbolo della religione, gli strumenti domestici, i segni del servizio pubblico.
Con i vimini si producono le gerle, indispensabili, in epoca passata, per il trasporto di merci di ogni genere lungo terreni impervi, tra sentieri e rocce, fino alla pianura.
La lavorazione del metallo è l’aspetto più moderno: si costruiscono utensili domestici e da lavoro, armi bianche (spade, lance, elmi, corazze), macchine sempre più elaborate, attrezzi dei boscaioli e dei segantini.
Altre espressioni dell’ingegno di queste genti: le calzature di pezza (quelle più semplici e quelle eleganti), la produzione di stoffe e tappeti con telai in legno, la ceramica, i ricami, l’impagliatura dei sedili.
Le lame di Maniago: una storia d’acqua, terra e fuoco
Chef, gourmet, appassionati di cucina: forse non tutti lo sanno, ma con tutta probabilità i coltelli che maneggiano con abilità provengono da Maniago, la capitale italiana delle lame.
Le coltellerie maniaghesi: una storia d’acqua, terra e fuoco, che hanno preso l’avvio oltre cinque secoli fa e continua nel Terzo Millennio, tant’è che oggi Maniago è fra i leader mondiali nella produzione di strumenti metallici da taglio e professionali ed esporta in tutto il mondo coltelli da tavola e da cucina, forbici, cavatappi, coltelli per lo sport e il tempo libero, lame da taglio per molteplici utilizzi.
Una storia che è raccontata oggi con un affascinante percorso nel Museo dell’arte fabbrile e delle coltellerie. Fra le curiosità, le armi bianche e le armature che ancor oggi sono prodotte per i set dei film, come quelle realizzate per Braveheart, il film di e con Mel Gibson vincitore di 5 Oscar, per “Robin Hood principe dei ladri” di Kevin Costner, per “Indiana Jones l’ultima avventura.”
Coltellerie di Maniago, una storia d’acqua, terra e fuoco
Le coltellerie maniaghesi, una storia d’acqua, terra e fuoco. Nel 1453, un nobile di Maniago – il Conte Nicolò – ottenne dal magistrato delle acque di Venezia il permesso di creare un canale per deviarvi il flusso del torrente Còlvera, e irrigare i fertili campi circostanti. Il corso del canale dovette adattarsi alla morfologia del territorio, ma la natura piuttosto impervia del tracciato favorì l’insediamento di numerose attività produttive. In corrispondenza dei frequenti salti di quota – dove maggiore era la forza dell’acqua ricadente – nacquero mulini, segherie e “battiferro”, le prime officine del metallo che diedero origine alla secolare tradizione maniaghese.
I fabbri costruivano attrezzi per i boscaioli e i contadini, ma anche armi per la vicina Serenissima. L’acqua del torrente Còlvera colpiva le pale di una ruota idraulica che azionava un maglio “a testa d’asino”, la macchina che il fâvri da gros (fabbro da grosso) usava per battere il ferro riscaldato e ottenere le forme volute. Nel XVIII secolo, per realizzare oggetti più piccoli e funzionali, l’arte dei fabbri maniaghesi si affinò in nuove tecniche: nacquero così i fâvri da fin (fabbri da fino), le cui botteghe si moltiplicarono in fretta in tutto il paese.
All’inizio dell’Ottocento, a Maniago si contavano 21 botteghe e circa 130 occupati nella lavorazione del ferro. La rivoluzione industriale e tecnologica dei primi del Novecento segnò la nuova e decisiva trasformazione dell’attività dei fabbri maniaghesi. Nacquero in questo periodo – grazie anche all’afflusso di capitali stranieri – i primi grandi impianti di produzione in serie, a cominciare dal Co.Ri.Ca.Ma. (Coltellerie Riunite Caslino Maniago), voluto nel 1907 dal tedesco Albert Marx, già proprietario di industrie a Solingen e a Caslino.
Il numero degli occupati nel settore salì a più di 500 unità, le officine del territorio erano già una quarantina. Ma la grande crisi economica del ‘29 colpì anche Maniago: chi perse il lavoro scelse la via dell’emigrazione, chi restò cercò soluzioni che razionalizzassero produzione e costi.
Oggi 27 aziende si fregiano del marchio QM, Qualità Maniago, che fissa standard e requisiti qualitativi che accomunino le imprese desiderose di crescere e farsi conoscere nel mondo. Il Distretto delle Coltellerie – circa 800 addetti nel solo ciclo produttivo degli articoli da taglio – è il secondo polo industriale della provincia di Pordenone.
Grazie all’uso di tecnologie avanzatissime e di manodopera superspecializzata, Maniago è leader a livello mondiale nella produzione di strumenti metallici d’uso e professionali che, oltre a coprire gran parte del fabbisogno nazionale, sono destinati all’esportazione verso i mercati europei e americani.
A Maniago il Museo dell’arte fabbrile e delle coltellerie ospitato nell’interessante struttura di archeologia industriale del Co.Ri.Ca.Ma. racconta – attraverso una ricca collezione di strumenti da lavoro e vari reperti presentati in un allestimento di grande impatto – la storia nei secoli dei fabbri maniaghesi, dalla comparsa dei primi “battiferro” lungo il Còlvera fino all’insediamento delle prime grandi officine.